Inizia l’anno e, sotto il Vischio, ci siamo augurati ogni bene. Trovo sia la pianta più indicata per far questo, il Vischio, le cui leggende sono un portato di disperazione e conforto, di tristezza e ritrovata felicità come leggiamo nell’epica e nel mito: Caronte, il traghettatore infero, ostacola il passaggio di Enea il quale, ancora vivo, non ha il permesso di raggiungere le terre dei morti. Tuttavia, appena scorge in mano all’eroe un ramo di Vischio, egli si rallegra e gli permette di attraversare lo Stige per incontrare il defunto e amato padre; Frigga, consorte di Odino, piange il figlio ucciso con una freccia ottenuta dal legno di Vischio e tuttavia, la stessa pianta che ha fornito la materia prima per la morte accoglie le lacrime della dea e le trasforma in bianche perle a ricordo e consolazione della sua perdita.
Il Vischio ripropone la sua ambivalenza anche come rimedio erboristico il cui potenziale salutare è coniugato a una certa tossicità (superata in gemmoterapia e omeopatia attraverso la scelta di specifici tessuti vegetali e tecniche estrattive). Insomma, nell’utilizzare e osservare questa pianta, l’uomo vi ha scorto l’ambivalenza della vita stessa, fatta di luci e ombre, di grandi impedimenti e improvvise risoluzioni (secondo i druidi rappresentava il solo rimedio capace di curare ogni male). Credo che scambiarsi gli auguri sotto un rametto di Vischio, adorno delle sue bacche bianche come la luna piena, sia il modo più saggio per augurarsi un buon anno nuovo, senza illusioni di perfezione, ma coscienti che anche nelle difficoltà sapremo trovare consolazione e pace.